mostre

Franco Fontana. Images

Dal 25/03/2006 al 28/06/2007
Galleria Boxart, Verona

Scatole Magiche!  

Un fotografo (Franco Fontana) si accorge che il mondo coincide con la sua visione e che questa non combacia con il fatto di vedere quello, osservarlo o analizzarlo. No. La visone è qualcosa di più e di meno: di più, perché non si limita a guardare la realtà, ma intende invece incidere su di essa, portarla dalla sua parte, modificarne la struttura; di meno, perché non si preoccupa di trascurare questo o quell'elemento della realtà, ma anzi screma, sintetizza e insomma taglia via quanto gli appare inutile e dispersivo.

Un fotografo si convince che il mondo non è se non nel mirino della sua “scatola magica”, nel quadrato da cui Brunelleschi partiva a disegnare il Battistero di Firenze, per poi bucare il foglio al centro e porlo davanti agli occhi sorpresi dei fiorentini ancora scettici. Un fotografo sa che quella magia, per una miracolosa contraddizione, appartiene più alla mente che all'occhio, e più allo spirito che alla materia. Sa infine che a non prestare attenzione il mondo ti assale e la realtà ti aggredisce lo sguardo, tanto da saturarlo, fino al punto da traboccare dall'ampolla visiva e da ritornare in quel confuso incrociare di luci ed ombre, di rocce frantumate in polveri, di pianure distorte, di muri, di case e di vetrine collassate. Proprio così, se non ci fosse…il quadrato del mirino, la scatola magica dell'obiettivo, lo zoom della lente.

Insomma eccolo il mondo: è un soffio di luce rappresa nella pellicola, nei bit dell'elettronica, nella camera azzurrata dello “sviluppo”, nei labirinti del computer. Eccolo con le sue apparenti contraddizioni e con le sue improbabili semplicità; con le pianure micidiali e sature di luce, con i muri infartuati nel tramonto o con i corpi di cartapesta stesi al sole degli sterminati inferni del “loisir” di massa. Da parte sua, un critico (chi scrive) si rende conto che da un lato la fotografia pretende un suo vocabolario e un suo “statuto” critico, com'è giusto sia, in ordine alla specificità di un linguaggio che con gli altri dialoga ma senza cedere nulla della propria autonomia; da un altro lato che essa appartiene alla storia della visione ancor prima di esistere, come la pittura vi apparteneva prima ancora di “rivelarsi”.

In altre parole, davanti alle opere di Franco Fontana mi convinco una volta di più che le tecniche di comunicazione che la storia ci presenta da null'altro derivano se non dalla necessità degli uomini di esprimere se stessi, o meglio ancora se stessi davanti al mondo. Più semplicemente: il proprio mondo interiore o se volete la vita come teatro della propria umana avventura. I suoi sono forse “logotipi” di un teatro e di una visione che “magnifica se stessa”, come qualche tempo fa scrivevo; teatro della natura, quando di paesaggi si tratti, metafore antiche e attualissime dell'aria e della luce, delle ombre oblique che tagliano le pianure o intersecano le case, del meriggio che avanza afoso tra le rive del sole o dell'alba che allarma i campi di grano. Mentre il mondo ci sta a guardare.

Giorgio Cortenova
marzo 2006

Inaugurazione