mostre

Andrea Mastrovito. Here the Dreamers Sleep

Dal 20/02/2015 al 17/05/2015
Museo Hendrik Christian Andersen, Roma

ANDREA MASTROVITO 
"HERE THE DREAMERS SLEEP" - 20 FEBBRAIO - 17 MAGGIO 2015

Con l'ausilio critico di Marco Bazzini ed Eugenio Viola

The Dreamers 
Matilde Amaturo
Direttore Museo Hendrik Christian Andersen

La mostra di Andrea Mastrovito dedica il suo titolo HERE THE DREAMERS SLEEP all’epitaffio inciso sulla tomba degli Andersen conservata nel Cimitero Acattolico di Roma, dove sono sepolti Andreas Andersen (morto a Boston nel 1902), la cognata Olivia Cushing (morta a Roma nel 1917), la mamma Helene Morsen (morta a Roma nel 1927), Hendrik (morto a Roma nel 1940) e la sorella adottiva Lucia Lice Andersen (scomparsa nel 1978), ultima custode dell’attuale casa museo, costruita secondo il disegno e gli intenti dell’artista norvegese americano nel 1922-24.

Le vicende biografiche di tutti i protagonisti sono significative per comprendere la dedica e la definizione di “sognatori”, poiché tutti i protagonisti della famiglia condividono un grande progetto di passione culturale per l’arte e la poesia. La mamma Helene giunta a New Port nel 1873 nella povertà e nelle difficoltà economiche e sociali, lavorava come lavandaia per mantenere la famiglia, sognando per i figli Andreas, Hendrik e poi Arthur, nato a New Port nel 1879, una vita libera dalle miserie di un padre alcolista violento e quindi vissuta negli ideali della pittura della scultura e della musica. Grazie agli aiuti di famiglie agiate come i Cushing, i suoi figli, pur lavorando fin da bambini, potranno andare in Europa e studiare a Parigi, Firenze e Roma. Qui soprattutto dopo la morte di Andreas, si riuniranno le donne della famiglia a sostenere il progetto della costruzione di una città universale The Creation of World Centre of Communication, luogo ideale per una città delle arti, della musica e delle scienze, un grande progetto utopico per una Europa pacifica. Il volume, realizzato con il contributo dell’architetto francese Hébrard verrà pubblicato a Parigi nel 1913 e presentato alla Sorbona con una conferenza di Paul Adam. Quale sogno più grande poteva nascere negli anni del primo conflitto mondiale?

Citando i titoli di due dei sette cicli esposti, si parte dall’esilio per giungere all’indipendenza, attraverso un pari numero di soste, effettuate da Sabella uomo, e dall’artista, tra 2004 e 2014. A queste sei tappe, come preannunciato, si somma un’area di passaggio denominata In Transition. I luoghi ritratti non sono reali, ma radicati nella memoria, su cui si innesta l'immaginazione, senza più alcuna aderenza con l’oggettività o con il passato. Allo stesso modo, dicevamo, lo sviluppo temporale degli spostamenti da un luogo A a B viene meno, rendendo possibile far convivere, all’inizio del percorso espositivo, i due estremi del viaggio.

La tomba attuale rispecchia il progetto che avevano pensato Hendrik e Olivia nel 1916 poco prima della prematura scomparsa di Olivia. L’interno è decorato con mosaici dorati che rivestono l’interno della cupola e decorazioni policrome in bronzo dorato; inoltre è presente un angelo in gesso che abbraccia la figura femminile raffigurante Olivia.

Nel museo Andersen si conserva la maquette in gesso della tomba, spoglia delle decorazioni policrome. In origine la tomba alla Piramide Cestia doveva conservare anche il gruppo monumentale dell’Angelo della Vita (o Vita Eterna), oggi conservato nel museo, ed esposto nel 1911 nel suo modello in gesso nell’edificio di Giuseppe Bazzani a Valle Giulia per l’Esposizione Universale, dove rimarrà con alterne vicende fino al 1914, sistemato nel salone centrale. In seguito ai problemi statici causati dalle sue dimensioni, nel 1947 il monumento sarà trasferito definitivamente dal Cimitero Acattolico nella casa-museo dove attualmente si trova.

Gli anni in cui viene progettata la tomba sono anni in cui Olivia e Hendrik si dedicano intensamente alla diffusione del grande progetto utopico del The Word Centre of Communication. Sono gli stessi anni in cui l’associazione pacifista World Conscience promossa e istituita da Olivia e Hendrik nel 1912 li aveva condotti in giro per l’Europa e l’America, a New York, stabilendo contatti con diversi magnati americani come i Wanderbild a New York o con i Ginn a Roma e New York o con il filantropo svizzero Albert Kahn. Questi sono anche anni di alacre progettazione per la realizzazione di un museo all’aperto delle sculture realizzate, scontrandosi con il diniego delle autorità cittadine.

L’associazione assume una notevole rilevanza tra i movimenti pacifisti internazionali, tanto che il filosofo pacifista Umano, pseudonimo di Gaetano Meale, lavora con loro per la stesura della seconda parte del progetto del World Centre, con finalità e intenti politico-istituzionali. Olivia in questi stessi anni scrive i suoi Diari e The Biblical Plays, drammi religiosi che Hendrik pubblicherà postumi.

Questo intimo legame intenso, intellettuale e idealmente fisico di Hendrik con Olivia, la cognata rimasta vedova, che lo sosterrà mentalmente, economicamente e spiritualmente fino alla fine, trova una emozionante pagina nei Diari di Olivia, alla data del 22 dicembre 1903: 
«Mi è sembrato come un sogno quando Henry è venuto nella mia stanza l’altra notte, come sempre, ed in qualche modo ho capito che mi ha sempre amata, anche lui, da quando ci siamo incontrati, e ancora mi ama. Sembra impossibile, ma è così. (...) Per me la vita o la morte significano poco, sono andata oltre. La relazione cresciuta tra me ed H. ha un significato più profondo di quello che io stessa pensavo (…).
Lui capisce che tutto il mio essere appartiene ad Andreas, a lui, attraverso il suo amore per noi e il nostro per lui, appartiene a noi, profondamente, intimamente (…)» .

Le figure della famiglia Andersen che riposano nel cenotafio dei sognatori sono legate tra di loro dai medesimi desideri, si identificano in un mondo, una città ideale che possa far scaturire una fontana vitale di arte e scienze, un’aspirazione che seppure ancora chiusa in una casa-museo, vive e si rinnova sempre più nelle sale espositive con artisti italiani e stranieri pronti e capaci nell’interpretare il senso profondo del suo pensiero creativo.

Traduzione originaria testo Diario Olivia:
“It seems as if I must have been dreaming, yet Henry came into my room last night, as often, and somehow I found out that he had always love me-he too, since we first me; and he does still. It doesn’t seem possible-and still it does (…) and yet life or death to me matter little, because I have gone beyond both and know them equal. The relation that has grown between us, H. and me, has a deeper meaning even than I thought.(…) He understands that with my whole nature I belong to Andreas, and he, through his love for us both and our love for him, belongs to us- belongs to us deeply, intimately (…)”.

HERE THE DREAMERS SLEEP. Dialogo con Andrea Mastrovito
Eugenio Viola
 

Eugenio Viola: Caro Andrea, inizierei contestualizzando HERE THE DREAMERS SLEEP - il progetto site-specific che hai sviluppato in occasione di questa mostra al Museo Andersen - nel corpus del tuo lavoro. Nello specifico, mi sembra si apparenti all’intervento che hai realizzato per Casa Testori (Milano, 2011): in un ambiente avevi inciso sui muri i ritratti di tutti i membri della famiglia, riattivandone, come in questo caso, la memoria attraverso il disegno che si arricchiva di elementi evocativi. Il disegno inoltre, per sua natura bidimensionale, assumeva, come spesso nel tuo lavoro, una dimensione installativa ed un’ambizione ambientale. Penso anche all’installazione che hai realizzato in occasione alla tua mostra al Laznia Centre for Contemporary Art di Danzica, in Polonia, in cui hai letteralmente ridisegnato un appartamento (Owslana 1-3, 2014). Anche quest’ultimo progetto a Roma è basato sulla centralità del disegno, trattato alla stregua di un medium ossimoro «che passa e distrugge» e «cancella disegnando», come mi hai recentemente confidato.

Andrea Mastrovito: È vero. Il disegno, il segno e più in generale la linea sono al centro del mio lavoro da molto tempo. Mi parli di Family Matters, l'opera incisa nei muri di casa Testori. In quel caso, il disegno e l'intaglio raccontavano l'archeologia di una famiglia, attraverso le stratificazioni di colore sui muri nelle stanze della zona notte della casa: nelle varie camere, si alternavano rimandi alla vita dei Testori a rimandi autobiografici, alla mia vita ed alla mia famiglia. Era possibile immaginare la mostra come una curva, una sinusoidale che tangeva la linea del mio vissuto o quella della famiglia Testori. Anche qui al Museo Andersen entro in contatto con una famiglia che, nel suo piccolo, ha lasciato un segno prezioso nella città. E la sinusoide qui si apre, sfondando le linee del vissuto privato ed alternando i suoi picchi tra la vita dei quattro abitanti della casa e, più universalmente, la condizione di ogni uomo, in ogni parte del mondo e di ogni tempo, intrappolato tra sogno, desiderio, rivolta e realtà. Anche il paragone con la più recente installazione a Danzica calza perfettamente: lì ho impreziosito un vecchio appartamento abbandonato con centinaia di disegni che ho realizzato, rendendo unica l'ormai logora carta da parati alle pareti. Per la mostra al Museo Andersen ho preso delle statue da giardino, piuttosto kitsch e banali, e le ho impreziosite attraverso il segno grafico della matita. La linea qui non è solo storia e racconto ma anche valore. Un valore aggiunto.

Eugenio Viola: Tornerei alla centralità del disegno, un medium che mi ricordi essere da sempre presente nel tuo lavoro. Un medium piegato con spregiudicata versatilità agli usi più disparati: restituito nella sua valenza installativa come negli esempi che ho citato, oppure in forma di videoanimazione. Ho l’impressione che tu utilizzi il disegno come gli antichi maestri rinascimentali: uno strumento conoscitivo, sospeso tra la ricerca di una rappresentazione “grafica” del mondo e l’aspirazione a porla come propria indagine “scientifica”, restituita in forma organizzata.

Andrea Mastrovito:Disegnare è conoscere, “disegnare” deriva d'altronde dal latino designare, e appunto designando le cose noi affermiamo la loro conoscenza, addirittura le determiniamo e le rendiamo esistenti. Nel mio caso, il disegno, come effettivamente succede per gli artisti rinascimentali, si pone come forma simbolica della realtà attraverso l'utilizzo di una prospettiva allargata che include fra le sue linee guida, oltre le tre dimensioni, il tempo della creazione e quello della fruizione: dalla videoanimazione all'installazione, tendo ad avvolgere e anzi coinvolgere sia fisicamente che emotivamente lo spettatore. La vita reale è inglobata all'interno delle linee guida dell'opera, ed il disegno è il metro di lettura, il punto di contatto tra reale ed artefatto. Al contempo, il mio è un tentativo di riprendere la lezione degli anni Sessanta e Settanta, anni in cui il foglio bianco è stato scalzato da spazi più ampi e decisamente esperibili fisicamente, in cui il disegno prendeva la forma di incisioni, scavi, orme, e ricondurla ad un'esperienza di re-immaginazione, re-figurazione del reale tramite l'azione stessa del disegno. La performance del maggio 2014, Kickstarting!, in cui assieme ad un centinaio di bambini di Bushwick ho realizzato un fregio di 300 metri quadri a pallonate, va esattamente in questa direzione.

Eugenio Viola: Questa mostra essenzialmente declina un percorso sull’utopia, Hendrik Christian Andersen, lo scultore danese ma naturalizzato americano che scelse Roma come suo domicilio d’elezione, era un eccentrico sognatore. Non a caso tutte le sue opere che si possono ammirare nella sua singolare casa-museo, sono legate ad un utopico progetto di una grande "Città mondiale", destinata ad essere la sede internazionale di un perenne laboratorio pluridisciplinare di idee. Una teorizzazione sistematizzata successivamente in un volume, scritto a quattro mani con l'architetto francese Ernest Hébrard (A World Center of Communication, 1913) che rielaborava in chiave futuribile la trattatistica utopica classica. Andersen era mosso dalla convinzione positivista che soltanto l'arte potesse donare al mondo pace e armonia…

Andrea Mastrovito:Andersen era un sognatore. Io non penso che l'arte possa donare al mondo pace ed armonia, anzi sono convinto che l'arte serva a dividere, a creare pensiero, pensieri diversi e quindi scontri. Non in senso fisico, ovviamente. Parlo di scontri inevitabili tra opposti, “energy derives from both the plus and negative” cantava James Hetfield in Eye of the Beholder (1988), e appunto solo attraverso cicli in cui si alternano creazione e distruzione, possiamo pensare ad un progresso. L'utopia è per sua natura irrealizzabile, è qualcosa che tocca la sfera dello “sperare” e non del “credere”. E chi visse sperando, si sa come andò a finire. L'utopia dopotutto è un imborghesimento dell'idea di rivoluzione. Ecco, forse è quello il punto che più mi sta a cuore, quello di cui tratto in questa mostra: l'idea di rivoluzione, di rivolta all'assurdo, in senso umano, profondo, e non politico. Qualcosa di impossibile, in cui credere e non sperare.

Eugenio Viola: Il Secolo Breve ha decretato la fine di ogni pulsione utopica. D'altronde tocca oggi all’artista recuperarne la dimensione creativa attraverso la propria esperienza esistenziale. Lo slancio utopico appartiene ormai solo al suo modus operandi, l’unico ad avere ancora una certa legittimità poietica nella civiltà occidentale, sempre più caratterizzata dalla predilezione per il mero funzionamento meccanico dell'esistente.

Andrea Mastrovito:A livello poietico chiaramente il disegno è la base di tutto ciò che viene dall'uomo, dall'arte alla cucina, dall'ingegneria alla medicina. Per questo trovo necessario, a mio avviso, ripartire dalla base primordiale dell'idea disegnata, per ricostruire dalle macerie. Il Secolo Breve racconta appunto di questo: di macerie, di frane che hanno caratterizzato gli anni Ottanta e Novanta, da Chernobyl alla caduta del muro di Berlino, al crollo del blocco sovietico. Dopotutto quelli sono gli anni in cui siamo cresciuti, gli anni del crollo delle ideologie. Il mio punto di vista, è vero, si situa tra sogno e realtà, ma come ti dicevo prima, non mi sento né un sognatore né un utopista. Piuttosto uno con una matita in mano ed un mondo da ricreare, non da inventare.

Eugenio Viola: Per questo motivo, dal mio punto di vista, è interessante notare come allo slancio utopico del modello di partenza, declinato in tutta la sua classica magniloquenza, tu aggiunga il contrappunto distopico del presente, replicando ironicamente, al primo piano del museo, la statuaria classica esposta nella galleria sottostante, riproponendola, come accennavi prima, nella sua versione declassata di statua da giardino a buon mercato, su cui ricalchi a matita un ritratto di famiglia degli Andersen, in una sorta di straniante memento mori.

Andrea Mastrovito:Esatto! Forse sarà la mia natura un po' fatalista, secondo la quale tutto torna vichianamente, ma non potevo non leggere nella statuaria di Andersen, destinata all'immaginario “Centro Mondiale della Comunicazione”, quella retorica magniloquente che ha caratterizzato tutti i regimi del secolo appena passato. D'altronde anche il concetto stesso di “città ideale” appartiene più al totalitarismo che all'idea di libertà dell'individuo, così non potevo che ricreare un cortocircuito tra alto e basso – caratteristico del mio lavoro – e ruotare il punto di osservazione di centottanta gradi. Da Utopia a Distopia, come in Brave New World di Huxley, dove il Selvaggio, nell'ultima pagina, dondola appeso per il collo come oggi le statue dei dittatori del Novecento, sebbene ne rappresenti l'esatta antitesi. Anche qui, gli estremi coincidono.

Eugenio Viola: È forse per questo motivo che alcune di queste statue sono invece ridotte in frantumi? Da questo punto di vista, possono essere interpretate come un’amara allegoria dei sogni infranti, cui tra l’altro fa riferimento lo stesso titolo della mostra, preso in prestito, non a caso, dalla frase incisa sulla tomba di famiglia degli Andersen, al cimitero acattolico di Roma, nei pressi della Piramide Cestia: HERE THE DREAMERS SLEEP.

Andrea Mastrovito:Le statue crollano una dopo l’altra, come in una sequenza cinematografica con la telecamera che scorre in pianosequenza, per poi alzarsi a volo d'uccello ed inquadrare quel che resta del sogno, la visione della città ideale in frantumi, nella grande sala. Scorrono i titoli di coda e non poteva che esserci quella frase: “Qui dormono i sognatori”. Chissà che non ci sia un sequel e che un giorno non si risveglino davvero. A quel punto parleremmo di Zombie movie.

Eugenio Viola: MI torna in mente un passaggio de Il Tempo, grande scultore di Marguerite Yourcenar: «Tutto scorre. L'anima che assiste, immobile, al passare delle gioie, delle tristezze e delle morti, di cui è fatta la vita, ha ricevuto "la grande lezione delle cose che passano"», afferma la scrittrice. È un po’ la metafora della vita, e delle illusioni ad essa connessa, che mi sembra tu visualizzi attraverso la metafora delle statue in frantumi.

Andrea Mastrovito:Sì, senz'altro Eugenio. Ricordo di aver letto un paio di libri della Yourcenar da giovane. Alexis e Le Coup de grâce. Di quest'ultimo romanzo ricordo bene alcuni momenti: uno riguardante i piombini di un fucile che, sparati durante una fucilazione, producevano buchi grandi come pugni; un altro relativo al destino, e di come sia «maestro soprattutto nello spezzare le fila». Ecco, quello che mi ha colpito di questa famiglia è stato senz'altro questo voler resistere al destino, all'impossibilità di realizzare sogni o solamente vite (Andreas muore pochi giorni dopo aver sposato Olivia, Hendrik non accetterà mai apertamente la sua omosessualità) e di non piegarsi mai, anche davanti all'evidenza. E chi non si piega, si spezza: questo è senz'altro il lato più affascinante dell'intera storia familiare degli Andersen. Da qui l'idea di far crollare una ad una le statue, in un rimando continuo tra l'utopia privata, familiare, e le grandi utopie/rivoluzioni storiche.

Eugenio Viola: L’intreccio tra la microstoria legate alle vicende di Christian, Andreas, Helene ed Olivia Andersen e la Storia che questa famiglia attraversa: il rapporto col Fascismo, ad esempio…

Andrea Mastrovito:Potrei risponderti ancora con una citazione da Le Coup de grâce: «Abbiamo l'abitudine di parlare come se le tragedie si svolgessero nel vuoto: ma chi le condiziona è lo sfondo». Il rapporto degli Andersen con il Fascismo è senz'altro meno drammatico di quanto si possa pensare. Semplicemente all'epoca Mussolini era il Duce e bisognava ottenere la sua autorizzazione per qualsiasi cosa: un accentramento di potere che purtroppo, per certi versi, permane ancora oggi nel nostro Paese - e ne vediamo le conseguenze. Il progetto del “Centro Mondiale della Comunicazione” fu proposto al Duce, che sembrò in un primo momento concedere la zona di Fiumicino. Poi tutti sappiamo come andò a finire. Il loro rapporto col Fascismo, il crollo della loro città ideale che si accompagna, contemporaneamente, al crollo degli ideali fascisti. Questo è stato senza dubbio il primo input per la creazione di questa mostra, al fine di realizzare un discorso che dal particolare sfociasse nell'universale, e che potesse risultare allo stesso tempo attuale e contemporaneo; spaziando dalla fionda del David di Michelangelo a quella dei guerriglieri palestinesi, dal tributo a Marat di Jacques-Louis David alla distruzione delle statue di Saddam Hussein in Iraq o a quella, più recente, dei Lenin in Ucraina o del generalissimo Franco in Spagna, passando per i testi di Thomas More o Tommaso Campanella. Il tutto cercando di mantenere un equilibrio surreale, quasi metafisico nelle immagini – specialmente nei collages che ho realizzato per questa mostra – per evidenziare come il campo di indagine riguardi sempre la sfera dell'umano, e non quella politica.

Dietro le quinte

Inaugurazione

Rassegna stampa

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